Auto-eteroritratto di psichiatra con orecchio bendato e pipa

“Con questa opera siamo certamente di fronte a qualcosa che ha i contorni del paradosso, ai limiti della possibilità: un auto-eteroritratto.
Per secoli l’artista ha cercato il proprio volto nella ricchezza del mito o nella severità dei simboli della fede.
Con il Rinascimento assistiamo allo spostamento dei luoghi di indagine: spesso diventa il volto stesso dell’artista la porta verso il baratro della propria anima, oltre la soglia dell’apparire, un viaggio spesso senza ritorno, da dove si può solo riemergere parzialmente, con brevi apparizioni, con pezzi della propria anima.
Ma nessuno mai fino ad oggi aveva tentato di investigare il proprio inconscio attraverso il volto dell’altro, in quello che ormai i più grandi storici dell’arte hanno definito l’auto-eteroritratto. E’ così che questo bizzarro manipolo di artisti ha tentato l’inaudito: ritrovarsi nelle pieghe del volto di un amico.  Un volto segnato dal pennello come un aratro che avanza nel solco e dalle cui ferite emergono colori, profumi, memorie, speranze.
In questo dipinto i Torcoli si cercano, si perdono, si ritrovano e alla fine si raccontano.
Già Sigismondo Freud disse di loro: “nelle conoscenze dello spirito essi sorpassano di gran lunga noi comuni mortali, poiché attingono a fonti che non sono ancora state aperte alla scienza”. (…)

Sin dal primo apparire dell’opera nelle cronache del tempo, critici illustri avanzarono l’ipotesi che nella sua realizzazione fosse evidente il contributo dell’illustre maestra Michela Peccini, artista di chiara fama.
Nonostante sia notoria la contiguità parentale con i Torcoli – cosa che ha più volte portato l’artista a pietosamente avvicinarsi alle loro opere (tutti ricorderanno il cameo della pittrice nel film Amarcord, nella parte della Gradisca) – la circostanza di una sua partecipazione diretta all’Auto-eteroritratto sembrava alquanto improbabile.
Tuttavia, il recente ritrovamento di alcuni bozzetti dei Torcoli, con tutta probabilità riconducibili all’opera qui esposta, ha definitivamente avvalorato questa ipotesi; di qui l’attribuzione della paternità dell’opera anche all’insigne artista perugina.”

Commento tratto dalla brochure di presentazione della mostra del 21/11/2010

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