Napoli 1990

SCHEDA TECNICA DELLA GITA

  • Periodo: 23-25 febbraio
  • Intinerario: Perugia, Cuma, Napoli, Vesuvio, Perugia
  • Mezzo: mercedes di 68
  • Presenti: 68, Gesù, Loca, Tribbio, Moderno.
  • Opera: Performance dal vivo “Interpretazione Studenti Contestatori dell’Ateneo di Perugia”

Fu quello un momento di alta criticità. Accadde qualcosa che rischiò seriamente di scompaginare l’allegra compagnia degli OdC Della Caritas perugina. Erano gli anni della contestazione studentesca, gli anni della “Pantera“. Come giovani contestatori ci recammo presso la Facoltà di Architettura dell’Università “Federico II” di Napoli, ma il solo e vero scopo era di trovare un alloggio gratuito. Riuscimmo a spacciarrci per studenti perugini desiderosi di conoscere la realtà della contestazione napoletana: uniti nella lotta contro il sistema. Il Tribbio si spacciò per un anarchico freelance reduce da un servizio giornalistico sulla crisi balcanica, più volte sfuggito alla morte, nascondendo ottimamente la sua vera ma onesta professione di radiocronista e lanciatore di programmi diocesani (dal rosario della sera alla messa mattutina) presso la radio locale della Curia perugina. Nicola dissimulò egregiamente la sua appartenenza all’alta borghesia perugina, figlio di noto dirigente aziendale e lui stesso lanciato verso il mondo dell’imprenditoria capitalistica, occultandosi dietro quell’aria un po’ trasandata e maledetta (capelli lunghi, barba non fatta e occhio miope dallo sguardo incerto). Corrado non ebbe difficoltà a mascherare la sua appartenenza all’Istituto Teologico di Assisi (un cattolico tra i comunisti!) assumendo un palese atteggiamente da contestore e rompicoglioni, anche perché era notoriamente un contestatore e un rompicoglioni. Raffaele si trovava perfettamente a suo agio in un ambiente così ricco di profili psicologici interessanti, utili all’arricchimento dei suoi studi di specializzazione psichiatrica (insomma c’era un bel numero di ragazzi fuori di testa). Tutto sembrava filar liscio, fino a quando decidemmo di partecipare ad un’assemblea del comitato studentesco durante la quale l’incauto Locatelli prese la parola. Inizialmente sembrava potesse funzionare: aria leggermente persa e voce impastata da consumatore abituale di canne, occhialino da intellettuale di sinistra (un po’ alla Ghezzi che prima di prendere la parola ti chiedi: – che vorrà dire? – e dopo che ha parlato ti chiedi: – ma che ha detto?), corporatura esile da epigono del satyagraha. Ma poi cominciò a parlare criticando la posizione della contestazione studentesca, manco fossimo ad un raduno di CL. Tentammo in qualche modo di distrarre l’attenzione dall’improvvido compagno e lo allontanammo prima di venire linciati. Per recuperare l’immagine irrimediabilmente compromessa di   ribelli studenti di provincia, non ci rimaneva che giocarci l’ultima carta: dovevamo far credere di essere veramente lazzaroni. Ci buttammo in una serata psichedelica di fumo e alcol (come al solito rigorosamente senza sesso).
Insomma, poterla raccontare oggi sembra già un successo.

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La gita a Napoli non fu soltanto impegno civile e contestazione, ma fu ricca di esperienze culturali e momenti di sublime torcolità. Visitammo il Parco Archeologico di Cuma (dove Tribbio diede un saggio di torcolità) e in particolare esplorammo l’Antro della Sibilla. Trovammo anche il tempo per andare al Palazzo Reale, e contrariamente al solito riuscimmo anche ad entrare. Esperienza notevole fu poi l’ascesa al Vesuvio, ma ancor di più la discesa. Accadde infatti, che ammirato il paesaggio, visitammo un negozietto di souvenir e li ci soffermammo un pò a parlare con il proprietario (ricordo vagamente che ci spiegò qualcosa della lavorazione del cammeo). Quando decidemmo di ripartire, questo signore, uomo di mondo e scaltro partenopeo, ci chiese un favore. Avea questi, per figlia, una cara e dolce e molto giovane donzella, la quale dovea per l’appunto scendere a valle con la propria autovettura. Il brav’uomo, padre accorto e premuroso, temea per la di lei securitate, essendo ella da poco tempo in possesso della patente di guida e poco esperta della conduzione del veicolo per le vie tortuose e insidiose del monte. Acciò dunque il buon padre si rivolse a noi con una breve prece: “Oh voi, dall’apparir così gentile e onesto (così inequivocabilmete torcoli, anche l’interesse per la lavorazione dei cammei doveva aver avuto una certa importanza), se non v’è di soverchio disturbo, scortereste la mia adorata figliuola per la perigliosa via fino alla pianura, al fin di renderla più sicura? Noi ch’eravam d’ubbidir desiderosi, subito ci disponemmo alla bisogna. La nostra vettura sarebbe andata avante a segnare il cammino, e un di noi sarebbe salito con la  fanciulla confortandola e benevolmente esortandola. Ci si dovette risolvere su chi avrebbe avuto il più arduo compito. 68 dichiarò di essere troppo vecchio per tali imprese; Loca e Tribbio furono scartati nel timore dell’uso di ostici argomenti di conversazione e nebulose considerazioni che potevano confondere la giovane; di Gesù si temeva una improvvida invettiva nei confronti dei padri incauti che affidano le figlie a sconosciuti; la scelta non poteva che cadere su Moderno, dall’aspetto più gentile e carino, il più cacace di gestire una conversazione di circostanza (dove abiti?, vai a scuola o lavori? che musica ascolti? etc.) e soprattutto il più capace di reggere emotivamente la situazione (rimanere nel ristretto spazio dell’ abitacolo di automobile per circa venti minuti con una bella sconosciuta). Non c’è bisogno di dire che tutto andò perfettamente comportandoci da grandi torcoli. Potremmo anche dire che fu un’esperienza fondamentale per il consolidamento della torcolità.

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